Affidando a Ferzan Ozpetek, il cineasta turco-italiano, la regia di Aida, spettacolo inaugurale della 74a edizione del Festival, il Maggio Musicale Fiorentino rinverdisce una delle sue più radicate tradizioni, quella di chiamare registi di formazione cinematografica a dirigere opere liriche o grandi produzioni di spettacoli di prosa. Tradizione tutt’altro che recente e che annovera nomi di assoluto rilievo, spesso al loro primo incontro col melodramma, come nel caso di Ozpetek: si possono citare, fra gli altri, artisti illustri da Luchino Visconti a Franco Zeffirelli, da Georg Wilhelm Pabst a René Clair, da Miklós Jancsó a Liliana Cavani, da Mauro Bolognini a Mario Monicelli, da Ken Russell a William Friedkin, da Zhang Yimou a Mario Martone. E la filmografia di Ozpetek è anch’essa di grande valore, annoverando titoli, pluripremiati a festival in Italia e all’estero, quali Il bagno turco, Harem Suarè, Le fate ignoranti, La finestra di fronte, Cuore sacro, Saturno contro, Un giorno perfetto e Mine vaganti, amatissimi da pubblico e critica.
Aida alterna grandi scene di massa a situazioni intimiste. Dove si poserà l’accento della sua regia?
Sì, vi sono molti momenti dove i personaggi vivono situazioni e sentimenti privati, ma non minore importanza rivestono le scene di massa. La marcia trionfale, come l’ha immaginata Verdi, è un momento centrale e richiede sempre una folla in scena. Per quanto riguarda invece i rapporti fra i principali attori del dramma si deve giocare sui loro sentimenti privati e sulle emozioni che investono i protagonisti. Ed è fondamentale saper fondere i due momenti.
Qual è dunque la sua visione complessiva di Aida?
Pensando ad Aida, mi sono sorpreso a fare una riflessione: da quasi ogni frase dell’opera si potrebbe ricavare un film. Aida ha questa intensità e questa forza. Ciò che colpisce è la forza appunto con la quale si afferma che non possiamo sfuggire né al nostro destino né all’amore. E mi affascina il contrasto fra le scelte che i protagonisti devono affrontare: ad esempio fra l’amor di patria e l’amore per un essere umano, fra le ragioni del cuore e quelle razionali.
Aida, ma anche Radamès e Amneris, vivono in questo contrasto fra ragione e cuore. Ma alla fine risultano perdenti in questa lotta con un destino avverso...
La vera perdente è Amneris, perché morire per l’essere amato non è una sconfitta. E la morte non è la fine di tutto. Radamès ed Aida compiono delle scelte molto nobili e questo mi commuove sempre. Invece Amneris perde davvero tutto.
Cosa vedrà, dunque, lo spettatore...
La prima volta che ho incontrato Zubin Mehta per parlare di Aida, mi disse che gli sarebbe piaciuto “sentire” in lontananza il deserto. E questa indicazione si sposava perfettamente anche con una mia sensazione: quando penso all’Egitto, infatti, non posso non pensare soprattutto alla sabbia. Quindi con Dante Ferretti abbiamo deciso di porre il deserto in primo piano e dunque la sabbia insieme ad elementi architettonici, che alludono ad una delle tombe più antiche, misteriose e affascinanti al mondo, quella che si trova sulla montagna di Nemrut in Turchia, dove vi è il tumulo di Re Antioco I di Commagene, con delle teste gigantesche che riprodurremo per questa Aida. Ho voluto fare così un omaggio alla mia terra di origine, perché quelle enormi sculture mi hanno sempre affascinato. E si vedranno anche immagini che riportano al mio cinema.
Aida alterna grandi scene di massa a situazioni intimiste. Dove si poserà l’accento della sua regia?
Sì, vi sono molti momenti dove i personaggi vivono situazioni e sentimenti privati, ma non minore importanza rivestono le scene di massa. La marcia trionfale, come l’ha immaginata Verdi, è un momento centrale e richiede sempre una folla in scena. Per quanto riguarda invece i rapporti fra i principali attori del dramma si deve giocare sui loro sentimenti privati e sulle emozioni che investono i protagonisti. Ed è fondamentale saper fondere i due momenti.
Qual è dunque la sua visione complessiva di Aida?
Pensando ad Aida, mi sono sorpreso a fare una riflessione: da quasi ogni frase dell’opera si potrebbe ricavare un film. Aida ha questa intensità e questa forza. Ciò che colpisce è la forza appunto con la quale si afferma che non possiamo sfuggire né al nostro destino né all’amore. E mi affascina il contrasto fra le scelte che i protagonisti devono affrontare: ad esempio fra l’amor di patria e l’amore per un essere umano, fra le ragioni del cuore e quelle razionali.
Aida, ma anche Radamès e Amneris, vivono in questo contrasto fra ragione e cuore. Ma alla fine risultano perdenti in questa lotta con un destino avverso...
La vera perdente è Amneris, perché morire per l’essere amato non è una sconfitta. E la morte non è la fine di tutto. Radamès ed Aida compiono delle scelte molto nobili e questo mi commuove sempre. Invece Amneris perde davvero tutto.
Cosa vedrà, dunque, lo spettatore...
La prima volta che ho incontrato Zubin Mehta per parlare di Aida, mi disse che gli sarebbe piaciuto “sentire” in lontananza il deserto. E questa indicazione si sposava perfettamente anche con una mia sensazione: quando penso all’Egitto, infatti, non posso non pensare soprattutto alla sabbia. Quindi con Dante Ferretti abbiamo deciso di porre il deserto in primo piano e dunque la sabbia insieme ad elementi architettonici, che alludono ad una delle tombe più antiche, misteriose e affascinanti al mondo, quella che si trova sulla montagna di Nemrut in Turchia, dove vi è il tumulo di Re Antioco I di Commagene, con delle teste gigantesche che riprodurremo per questa Aida. Ho voluto fare così un omaggio alla mia terra di origine, perché quelle enormi sculture mi hanno sempre affascinato. E si vedranno anche immagini che riportano al mio cinema.
(L'intervista completa a Ferzan Ozpetek, a cura di Franco Manfriani, sarà pubblicata sul programma di sala per Aida).
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