mercoledì 27 aprile 2011

Tre domande a... Francesco Ventriglia

Subito dopo il diploma presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, Francesco Ventriglia entra a far parte del Corpo di Ballo di quel teatro. All’attività di ballerino affianca presto quella di coreografo, ottenendo grande successo in Italia e all’estero. Ha creato titoli per ballerini del calibro di Roberto Bolle, Eleonora Abbagnato, Alessandro Riga e Svetlana Zakharova. Dall’ottobre del 2010 è direttore di MaggioDanza.

Qual è a suo parere la principale peculiarità di questa nuova produzione di Aida?
Questo allestimento ha il merito di unire una sorta di innovazione registica al rispetto della classicità dell’opera: non è ambientata a Brooklyn o a Trastevere ma in Egitto, come previsto dal libretto. Allo stesso tempo, però, non è priva di innovazione, secondo quella che penso sia la cifra del Maggio: unire appunto l’innovazione alla tradizione. È vero che lo spettacolo è ancora in via di creazione e che bisogna aspettare che il sipario si alzi sul debutto, però mi sembra di intuire che questi due elementi siano presenti.

Aida è un esempio di grand opéra italiano in cui i balletti assumono un tale rilievo che non possono essere tagliati. Qual è il ruolo dei balletti in quest’opera e qual è la caratteristica principale delle sue coreografie?
Verdi ha scritto dei ballabili che vanno eseguiti e noi lo abbiamo fatto in modo un po’ diverso. Dicevo che in questa versione di Aida coesistono innovazione e tradizione, e la novità riguarda proprio il balletto. Non c’è infatti un balletto ma della danza a servizio di un’idea. Ad esempio nella scena del trionfo: tutti siamo abituati a vederla interpretata con danze egizie, espressione della potenza, della grandezza dell’Egitto, sublimazione di tutto ciò che è fasto. Qui l’idea del regista è un’altra: il trionfo è il flashback della battaglia, vuol mostrare che cosa è accaduto e come hanno fatto gli egiziani a vincere. La scena e il coro si bloccano e si ha solo il momento di danza: un’azione più che un balletto. È un’idea quasi cinematografica, considerando anche la provenienza del regista! E per un coreografo è divertente poter avere sempre degli stimoli nuovi per creare la propria danza. La cosa più bella, a prescindere dal risultato, è ricevere dei suggerimenti per fare qualcosa di diverso.

Rispetto ai due spettacoli di MaggioDanza della stagione in corso, in questo caso le sue coreografie s’inseriscono nella cornice di uno spettacolo articolato e complesso come l’opera. Di quanta libertà gode il coreografo e quanto è stretto il rapporto con il regista?
Il rapporto col regista è strettissimo così come lo è quello col direttore d’orchestra, in questo caso il Maestro Zubin Mehta. Ho lavorato con un gruppo davvero importante. Nella fase creativa, che è comunque presente anche quando si lavora in un altro contesto, si ha molta libertà. È vero però che il lavoro deve essere contestualizzato: in questo caso la danza è all’interno di un’opera e il capofila è la musica; bisogna essere quindi a servizio di quell’idea registica, di quell’opera, di quel racconto. Al contrario, quando si crea ex novo un balletto, che si appoggia a una drammaturgia scritta per quello spettacolo, a una partitura musicale studiata per quello spettacolo, il coreografo ha naturalmente molta più libertà. All’interno di un’opera la coreografia è invece a servizio di un’altra situazione. La creatività c’è in entrambi i casi ma è intesa in modo diverso.

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